“C’è un altro cielo”

C’è un altro cielo, / sempre sereno e bello, / e c’è un’altra luce del sole, / sebbene sia buio là; / non badare alle foreste disseccate, Austin, / non badare ai campi silenziosi / qui è la piccola foresta / la cui foglia è sempre verde / qui è un giardino più luminoso / dove il gelo non è mai stato, / tra i suoi fiori mai appassiti / odo la luminosa ape ronzare, / ti prego, fratello mio, / vieni nel mio giardino!

Emily Dickinson

“E non pensare che d’inverno…”

E non pensare che d’inverno il giardino perda il suo incanto. / Sembra addormentato, ma lì sotto le radici sono in tumulto.

Gialal al-Din Rumi

“Sartoris”

Intorno alla quercia, al di fuori della funerea scimitarra del viale in discesa, si stendeva, verso la strada, un prato con un bel tappeto interrotto da ciuffi sparsi di giunchiglie, di narcisi e di gladioli. Originariamente il prato era a terrazzi, e i fiori erano un’aiuola ben disegnata sul primo terrazzo. Poi Will Benbow, il padre di Horace e di Narcissa, le aveva spianate. Vi avevano passato l’aratro e l’erpice, e seminato nuovamente l’erba, credendo che l’aiuola fiorita fosse andata distrutta. Invece, la primavera successiva, i bulbi, sparsi avevano germinato di nuovo, e, da allora, ogni anno il prato si picchiettava disordinatamente di boccioli bianchi, gialli e rosa. Qualche ragazzina aveva chiesto, ed ottenuto, di coglierne in primavera, e i bambini dei vicini giocavano tranquillamente tra di essi e sotto ai cedri. In cima al viale, dove esso piegava per ridiscendere, sempre avvolta dall’odore fresco e leggermente aspro dei cedri, c’era la casa di bambola, in miniatura, nella quale Horace e Narcissa abitavano.

William Faulkner, Sartoris

“Bouvard e Pécuchet”

Frugando nella libreria, venne loro tra mano, a trarli d’impaccio, il trattato di Boitard, intitolato L’architetto dei giardini. L’autore distingue i giardini in un’infinità di specie. C’è, in primo luogo, il giardino di gusto nostalgico-romantico, contrassegnato da piante di semprevivo, da rovine, da tombe; e, possibilmente, da una «cappelletta ex voto alla Madonna, eretta nel punto dove l’antico signore è caduto sotto il ferro dell’assassino». Si ottiene il giardino di gusto tragico con roccioni pericolanti, alberi schiantati, capanne semidistrutte da incendi; quello di tipo esotico piantandovi cactus-candelabro del Perú «che suggeriscono nostalgie in chi ha viaggiato ed ha soggiornato a lungo in paesi lontani». Il genere serio deve offrire, come Ermenonville, un tempio: rifugio ideale a chi si pasce di filosofia. Gli obelischi e gli archi di trionfo caratterizzano il genere maestoso; grotte e borraccine, il genere misterioso; un lago, il genere sognatore. Né manca il genere fantastico, di cui un tempo si ammirava il piú bell’esempio in un giardino del Wurtemberg – basti dire che vi incontravi successivamente un cinghiale, un eremita, parecchi sepolcri; e infine una barchetta che, staccandosi da sé da riva, ti portava in un chioschetto arredato a salottino: invitato da un sofà, ti sedevi e getti d’acqua ne sprizzavano inondandoti.

Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet

“Malinconica villeggiatura”

Nel giardino delle Tuileries, stamani, il sole si è assopito via via su tutti gli scalini di pietra, come un giovinetto biondo il cui sonno lieve il passaggio di un’ombra subito interrompe. Contro il vecchio palazzo verdeggiano i nuovi germogli, i vaghi soffi del vento uniscono all’effluvio del passato il fresco dei lillà. Le statue, che nelle pubbliche piazze spaventano come immagini di follia, qui sognano tra i carpini, come dei savi sotto la luminosa verzura che ne protegge il candore. Le vasche, in fondo alle quali il cielo azzurro si accampa, splendono come sguardi. Dalla terrazza in riva all’acqua si vede, uscendo dall’antico quartiere del Quai d’Orsay, sull’altra riva e come in un altro secolo, un ussero che passa. I convolvoli traboccano in disordine dai vasi coronati di gerani; ardente di sole, l’eliotropio brucia i suoi effluvi. Davanti al Louvre si levano le malvarose, leggere come alberi di vascelli, nobili e gentili come colonne, rosate come fanciulle. Iridati dal sole e sospirosi d’amore, gli zampilli salgono verso il cielo. Sull’orlo della terrazza, un cavaliere marmoreo lanciato senza mutar di posto a uno sfrenato galoppo, con le labbra unite a una tromba gioiosa, incarna tutto l’ardore della Primavera.

Marcel Proust, Malinconica villeggiatura